Era una preghiera la sua voce
flebile come una foglia imbevuta
di pioggia, il piccolo Gino classe 40 solcando il suo passo l’eterno ritorno della storia, quella dei piccoli paesi che si inerpicano fra monti e rivoli d’acqua, acquitrini e voci in lontananza. I fantasmi del passato che incrociano le carrette dei piccoli ambulanti venditori di frutta fresca e ortaggi, nel profumo dei fiori appena sbocciati dal congresso delle vite vegetali e animali brulicanti senza posa, lentamente nel silenzio ovattato di una nuvola che ingrossa i sogni e li estende lunghe le stradine tortuose dove le anziane ricamano stoffe e lacrime per i figli partiti e mai più rivisti.
Ricordava la guerra tra i grandi alberi e le cannonate che risuonavano ancòra nel suo cuore. Verde era la pianura che abitava fra spicchi di luce che fendevano le ombre
tingendo la terra di ricordi e sangue.
Viottoli percorsi a passo lento, i cavalli con lo zoccolo consunto, il fieno battuto dai contadini. Mordeva la vita come un giorno sublime da non dimenticare mentre l’osteria chiudeva i battenti della sera.
Un giorno la sua voce divenne vento che lambiva i monti in lontananza ritornando fra le piccole case, un sole tenue sui tavoli
nascosti in penombra restando quiete.
Il casellante quasi addormentato e la guardia confinaria, pezzi di storia lasciati fiorire al di là di ogni tempo e Gino fra la riunione di nuvole col suo sorriso accennato e gli occhi che non smettevano di amare. Nessuno sapeva cosa più volesse dire, comunicare, la sua lingua divenne sconosciuta, parole di vento e ghiaia di fiume, sillabe disperse a risalire verso casa dove la piccola chiesetta troneggiava intorno alla valle, i monti a sorvegliare i secoli. E Gino – a passo lento sul viottolo soleggiato dove ombra su ombra si accalcavano i giorni – sparì dietro l’ultimo agglomerato di case, in lontananza.

Domenico Setola