di Carla Rocco

Il 2020 volge al termine, in tanti affermano che sia un anno da dimenticare, è un’illusione: il tempo ci attraversa lasciando e portando con sé esperienze, stagioni e nuovi linguaggi, i quali nascono e si consolidano nel tempo stesso.

Abbiamo incontrato il D.re Christian Sanna, sociologo e studioso dei fenomeni sociali, per fare un bilancio delle nuove espressioni adottate quest’anno.

 

Salve D.re in questo ultimo anno il linguaggio parlato ha adottato nuovi termini e nuove espressioni.

I politici spesso parlano di “cabina di regia”. Fino a Marzo scorso il termine regia, veniva associato al teatro, al cinema, i quali sono stati i settori maggiormente colpiti dalla pandemia. La regia l’abbiamo sempre pensata e vista come la creazione del mondo interiore messo in scena, o sul set, uno specchio dell’anima umana. Ora “cabina di regia” è associato ad un gruppo ristretto di persone che decidono la parte esperienziale e sociale dell’individuo.

Cosa può dirci in merito?

Non mi sorprende minimamente che la politica prenda in prestito dei termini che eravamo abituati ad ascoltare in altri ambiti quali il teatro, il cinema, la pubblicità. È chiaro che ci troviamo dinanzi alla spettacolarizzazione della politica e del suo linguaggio; un processo   graduale e costante, tipico di certe evoluzioni o involuzioni. In questo, Berlusconi è stato un innovatore; ha portato la televisione nella politica, quel modo di comunicare semplice e diretto, a tratti intimista, fatto di slogan e di una presenza scenica notevole, supportata da un linguaggio non verbale, ricco di gestualità e di mimica facciale. Passano gli anni, cambia la società e cambia il modo di comunicare. È fisiologico. Se poi le interessa sapere come la penso e cioè se questo cambiamento rappresenti un bene o un male, le rispondo che ho il terrore della mediocrità e che non sono affatto contento dell’attuale linguaggio che si è forse semplificato, ma anche involgarito. Impoverito nella forma, ma spesso nei contenuti. Un tempo esisteva il “politichese” caratterizzato da uno stile criptico e per certi versi inutilmente complicato, però era supportato da una reale cultura. I politici  di una volta godevano di una eccellente formazione politica e questa preparazione faceva la differenza. Oggi assistiamo ad un linguaggio politico spesso “rissoso”, polemico, proiettato più alla critica che alla proposta. Gli elettori dovrebbero estrarre il contenuto dal contesto e ricordare che molti politici parlano alla pancia.

L’italiano non è mai stato il pezzo forte degli italiani stessi, ora, nel linguaggio comune abbiamo adottato lockdown. Come possiamo tessere relazioni se pronunciamo e viviamo in forza di un’espressione straniera che tra l’altro non tutti conoscono il significato?

L’ italiano è una lingua romanza ricca di irregolarità ed eccezioni, quindi complessa. Basti pensare alla coniugazione dei verbi. Molti hanno difficoltà ad esprimersi in maniera corretta e fluida, indipendentemente dai titoli di studio e dalle professioni svolte. Bisogna essere devoti alla lingua italiana, studiarla, avere la curiosità di scoprire parole nuove, sapere dove andarle a cercare. Da esteta, profondo amante della parola ho studiato alla “scuola” di mio padre, un sardo che ha vissuto in diverse città, quindi un uomo quasi senza accento o comunque con un accento così flebile da non riuscire a ricondurlo a nessuna regione. Fondamentali per la mia formazione sono state certe letture e l’ascolto delle canzoni dei grandi cantautori italiani, uno su tutti Fabrizio De Andrè. Con la lingua italiana crolla anche una certa logicità: si è portati a pensare che un bravo scrittore sia anche un buon oratore e viceversa, ma non sempre è così. Il modo di comunicare è cambiato negli anni, dall’introduzione del cellulare ad oggi, ci ritroviamo a leggere parole abbreviate, sigle, faccine che informano sullo stato d’animo. È come se bisognasse risparmiare sulle parole, perchè non c’è tempo e si va sempre di corsa. Adottare parole straniere ( cosa già presente) è ormai una moda, credo rientri nel concetto di globalizzazione e parecchi italiani sono un pò esterofili: l’erba del vicino è sempre più verde. A volte una parola straniera “spaventa” meno, può risultare più dolce e digeribile per chi l’ascolta. Lockdown è più sostenibile e quindi più facile da accettare rispetto a confinamento, chiusura, isolamento.

Può suggerirci una dritta per riprendere le redini della nostra lingua?

L’unico rimedio è lo studio, l’approfondimento, l’esercitazione. Bisogna leggere i libri, sottolineare le parole sconosciute, ascoltare i testi dei cantautori, sforzarsi a parlare in italiano anche in famiglia e quando si è in un gruppo di amici. I dialetti sono un valore, un patrimonio enorme da conservare. Però è necessario esercitarsi con la lingua italiana in maniera costante. È come col fisico, se non lo alleni, ne risente la muscolatura che perde di tonicità.

Un’ultima domandona: perché c’è stata tanta difficoltà ad accettare il termine “assembramento”? Tanto da confonderlo ancora con assemblamento.

Innanzitutto assembramento e assemblamento differiscono per la variazione di una consonante ed hanno la stessa “musicalità” quindi è facile cadere in errore. C’è difficoltà ad accettare il termine assembramento, perchè come diceva Aristotele ” L’uomo è un animale sociale” e non riesce facilmente a sottrarsi alla propria indole che è quella del contatto con gli altri e della condivisione delle emozioni.  Gli italiani, nello specifico, sono affettuosi ed amano coltivare le relazioni umane. È oggettivamente un periodo di grande sofferenza per tutti ed ognuno di noi è chiamato a fare la sua parte, rispettando le regole e proteggendo i più fragili con un comportamento improntato al buon senso. Passerà anche questa stagione di dolore e nella speranza che sia riuscita almeno a sensibilizzare un pò di gente, abbiamo il dovere morale di guardare al futuro con fiducia. Ci aspetta una lunga stagione di ricostruzione.

Grazie Carla Rocco per questa interessante intervista. A lei e ai lettori auguro un 2021 pieno di cose belle.

 

Grazie al Dr. Christian Sanna abbiamo approfondito alcuni aspetti dell’agire umano che trovano la propria radice nel linguaggio. Dimenticare è impossibile però possiamo impegnarci affinchè l’agire umano diventi più consapevole nel rispetto della collettività. Il nuovo anno è un futuro prossimo, il benessere personale, non è dato da un nuovo tempo, bensì da come mettiamo in pratica gli apprendimenti appresi. Io mi auguro che il 2021 sia il tempo di raccolta dell’anno che sta per finire.

Buon 2021 a tutti