Può un leader politico forte – di cui il Novecento è stato esempio storico precipuo e spesso tragico – cambiare il corso della Storia? Oppure determinate condizioni strutturali, sociali, politiche, culturali, ideologiche hanno favorito l’ascesa al potere di queste personalità? Questo interrogativo fondamentale è stato ed è alla base di studi storici e storiografici molto approfonditi che continuano ancora oggi, da parte di studiosi e storici di fama internazionale, come ad esempio Ian Kershaw, considerato il più autorevole storico del Nazismo, già professore di Storia Moderna nelle Università di Bochum, di Nottingham e di Sheffield, e membro, inoltre, della British Academy e della Royal Historical Society. La questione dell’influenza di una persona sulle grandi trasformazioni storiche fu anche al centro delle riflessioni di grandi letterati come Lev Tolstoj che, nel suo romanzo “Guerra e pace”, mise a fuoco il problema della volontà individuale nella determinazione di eventi storici, cercando di confutare l’idea che la storia fosse determinata da “grandi uomini”.Jacob Burckardt, grande storico del diciannovesimo secolo, sosteneva che noi “siamo irresistibilmente spinti a ritenere grandi nel passato e nel presente coloro dalla cui azione è dominata la nostra esistenza”. In politica, bisogna distinguere la “grandezza” dalla “semplice potenza” continuava a dire. Non vi è alcuna grandezza in chi si è limitato a distruggere senza creare nulla. “I grandi uomini” erano coloro che riuscivano a liberare la società da “forme di vita inaridite”. Dalla sua ottica, a determinare la grandezza non era solo la volontà individuale, ma la sua capacità di rispecchiare “il volere di Dio”, “la volontà di una Nazione o di una collettività” o “la volontà di un’epoca”.Così come lui, tanti altri si sono soffermati sul tema, su cui incide inevitabilmente un giudizio morale che non può essere equo poiché presuppone sempre una valutazione di tipo soggettivo.Ponendo, invece, l’attenzione sull’influenza e sulla eredità storica del leader si evita il giudizio morale di per sé fuorviante.Un leader “carismatico” – secondo Max Weber – crea un particolare legame col suo “seguito”, la così detta “comunità carismatica” che percepisce una serie di qualità straordinarie in esso. Per Weber è il “seguito” a creare il carisma attribuendo alla sua personalità un carattere eroico e di grandezza, una “vocazione” o un messaggio ideologico che trova attraente. Il “carisma” viene poi sostenuto dai media, dai partiti di massa controllati dal governo, sicché può essere costruito in senso invariabile essendo l’artificiale prodotto di un “marketing”, grazie anche alla propaganda. Senza la dedizione al culto della personalità e un apparato repressivo che servono per consolidare il potere, i dittatori avrebbero avuto vita molto breve.Le condizioni in cui un particolare tipo di personalità può assurgere a leadership politica variano molto ed è quasi impossibile generalizzare. Ciò che può funzionare in una democrazia ben consolidata può risultare inefficace nel caos generato da una grave crisi politica. I tratti della personalità di un dittatore, considerati riprovevoli e negativi in una società pluralista, vengono acclamati nelle crisi che portano i dittatori al potere.È difficile, dunque, ben riflettere sull’ascesa di Hitler senza considerare il grande impatto della Prima guerra mondiale e della Grande depressione della società tedesca. Le condizioni determinano il grado di influenza di una specifica tipologia di personalità. In stato di pace, di benessere, quando i valori fondanti i diritti umani e delle libertà sono ben definiti e “vivono” in uno stato di diritto che si basa sul pluralismo, sulla divisione dei poteri, è più che probabile che un leader si “adatti” ai vincoli istituzionali senza voler trasformare il sistema politico come tale.Condizioni di tale entità sono emerse dopo la Seconda guerra mondiale, e hanno prevalso in larga parte sia in Europa occidentale che negli Stati Uniti. I drammatici e recenti eventi in Ucraina sollecitano ulteriori e più profonde riflessioni sul potere quasi illimitato che un leader esercita spudoratamente in spregio dei diritti civili e internazionali degli individui, dei cittadini del suo Paese e di Paesi al di fuori del territorio russo.Concluderei questa digressione con le parole di uno dei più grandi giornalisti italiani del 900 che, a proposito del regime fascista in Italia, così ebbe a dire: “In Italia a fare la dittatura non è tanto il dittatore, quanto la paura degli italiani e una certa smania di servire il potere di un padrone. Come si fa a non diventare padroni di un paese di servitori?” (Indro Montanelli).

Domenico Setola (dottore in giurisprudenza e studioso di storia medievale e moderna)