Litorale domiziano come frutto di politiche sbagliate
di Pasquale Castaldo
Il caso studio è la fascia costiera tra le foci del fiume Volturno e del Canale di Quarto per una profondità di 10 km e che attraversa i comuni di Castel Volturno, Giugliano in Campania, Qualiano, Villaricca e Pozzuoli entro il Sito di Interesse Nazionale Litorale Domizio-Flegreo ed Agroaversano.
Un’area pianeggiante dominata da sistemi di terre alluvionali e pianure costiere alluvionali. Si tratta di un’area storicamente paludosa che compone un unico sistema idrologico attraversato dai Regi Lagni, e dominato dal Lago Patria . Le indagini geochimiche mostrano l’assoluta unicità della terra, tra le più fertili del pianeta. L’area ha subito un’espansione urbanistica sorprendente nel secondo dopoguerra che si è accompagnata, o ha seguito, l’estensione delle reti infrastrutturali. Negli anni ‘50 e ‘60, in seguito alla definitiva bonifica della fascia costiera, forti investimenti immobiliari hanno portato alla creazione di un distretto costiero del tempo libero, che sfruttava la qualità ambientale locale, la disposizione di molti chilometri di fascia costiera, la relativa vicinanza alla città di Napoli. Di fatto si è andata conformando una città duale: nell’entroterra il sistema di comuni agricoli si è andato saldando in un unico agglomerato urbano; lungo la costa una città lineare composta di insediamenti di diversa natura, si è andata consolidando, senza mai raggiungere una definizione formale. Dagli anni ‘70 e ‘80 si è determinata una svolta che ha innescato il progressivo peggioramento delle qualità ambientali e tuttora permane: l’eccessivo emungimento della falda provoca invasione di cuneo salino nella fascia costiera, compromettendo la qualità dei suoli; l’inadeguato sistema di depurazione dei reflui urbani compromette la qualità delle acque marino-costiere, inquinate anche attraverso pratiche di smaltimento illegali; l’urbanizzazione incontrollata lungo la costa invade la fascia dunale causando erosione delle spiagge.
La criminalità organizzata gestisce anche operazioni di dismissione illegale di rifiuti speciali che sta determinando l’inquinamento profondo e diffuso di questo territorio. La dismissione avviene in diversi modi: i rifiuti tossici vengono smaltiti in discariche legali o semi legali (strutturalmente non conformi alle norme di legge) interrando materiale tossico in terreni liberi e soprattutto nelle cave dopo averne contraffatto i documenti identificativi; in questo caso il rischio è definito dalla relazione tra tempo e resistenza strutturale degli invasi. Nel caso della discarica Re.sit. di Giugliano in Campania, uno strato di tufo resistente confina la falda profonda dal percolato della discarica la cui struttura si è rivelata inadeguata al contenimento; il contatto tra inquinanti e acque relativamente superficiali ha già innescato processi di trasformazione chimica dei suoli, esalazioni di gas e deterioramento delle acque di pozzo (nella piana oltre il 90% di acqua per uso agricolo viene prelevata direttamente dalla falda attraverso pozzi, spesso mal costruiti). Per questo motivo circa 200 pozzi agricoli nell’area sono stati disattivati su un’area di oltre 220 ettari. Nel caso di contatto con la falda profonda, decine di chilometri quadrati di terreni agricoli sarebbero a rischio oltreché, naturalmente, l’acqua marino-costiera. In molti terreni agricoli, a causa del degrado dei suoli e delle esalazioni di biogas, è stato necessario abbandonare le tradizionali colture fisse per passare a specie con minore sviluppo radicale.
Nel caso di rifiuti allo stato liquido, lo sversamento viene fatto direttamente nei corpi d’acqua superficiali; l’avvenuto smaltimento nei Regi Lagni e nei laghetti di Castelvolturno, ex cave inondate è stato accertato. In altri casi, i rifiuti vengono suddivisi in piccole porzioni, mescolati ad altri scarti di vario genere come materiale da costruzione e copertoni e incendiate in diversi punti del territorio; nella “terra dei fuochi” pochissimi sono i cigli stradali privi dei segni di recenti incendi. Questo tipo di azione, oltre a compromettere i siti, comporta la produzione di grandi quantità di diossina, che tende a diffondersi, attraverso aria e acque superficiali, ai terreni limitrofi. Ricerche indipendenti evidenziano l’alta quantità di diossina incorporata dagli abitanti della zona e un incidenza di alcuni tumori oltre la media nazionale.
A questo sistema di inquinamento profondo si intrecciano pratiche diffuse di abbandono di rifiuti, che invadono campi agricoli, svincoli stradali, canali, aree di rispetto delle infrastrutture. L’abusivismo edilizio contribuisce frammentazione della matrice agricola e all’inquinamento delle acque superficiali attraverso scarichi abusivi.
Gli effetti del degrado a loro volta, sono retroattivi; alla riduzione della qualità ambientale corrisponde una riduzione delle possibilità di sviluppo sostenibile: un terreno agricolo che non può essere irrigato diviene velocemente area di sviluppo abusivo o di abbandono di rifiuti, e in breve l’influenza di un sito si ripercuote su aree limitrofe. L’intero sistema produttivo dell’area sconta il prezzo della cattiva pubblicità e del rischio di improvvise crisi ambientali. Infine, a questo intreccio di tensioni si è aggiunta la designazione dell’area a sito di stoccaggio di “ecoballe”: milioni di tonnellate di rifiuti triturati che non possono essere inceneriti e che occupano, in forma di cretto recintato una superficie di un chilometro quadrato. Nel complesso, quello del Litorale Domizio-Flegreo è dunque un quadro ben più complesso della semplice somma di siti contaminati: attività legali e semilegali interessano trasversalmente tutte le componenti sociali testimoniando un conflitto tra diversi modi di abitare e concepire il territorio.
Imprenditori, agricoltori amministratori e cittadini di fronte a questi problemi, e il confronto fra queste paerti sciali ha assunto negli anni dei contorni sbiaditi. Oltretutto gli interventi di bonifica e l’attenzione delle istituzioni tende ad ignorare questa divisione, concentrando l’attenzione sui casi estremi di degrado, sotto la spinta di indagini della magistratura e denunce dei mezzi d’informazione.
Si evidenzia che inquinamento e degrado hanno un valore sistemico e testimoniano una crisi sociale prima che ambientale dell’area napoletana. Risulta con chiarezza che il termine bonifica debba essere tradotto in pianificazione. L’area è stata oggetto di un progetto «La bandiera blu del Litorale Domitio, fase due» è di 80.000.000 euro, con un contributo del Fondo europeo di sviluppo regionale dell’UE di 53.375.347 euro attraverso il programma operativo «Campania» per il periodo di programmazione 2014-2020. L’investimento rientra nella priorità «Ambiente ed efficienza delle risorse».
L’azione politica si è rivolta al recupero delle condizioni qualitative dell’ambiente marino e costiero coordinando le attività dell’uomo con l’uso delle risorse ambientali di forte significato del territorio campano. Una delle criticità principali è legato alla dinamica evolutiva del litorale. Facendo riferimento ai risultati delle ricerche morfo-sedimentologiche e dinamico-evolutive sviluppate nell’ultimo decennio emerge un quadro poco rassicurante. Da esse emerge vasti tratti di litorale soggetti a fenomeni irreversibili di erosione e fortemente compromessi dalla urbanizzazione, altre porzioni di litorale risultano stabilizzati da opere di difesa, altri ancora, molto esigui, si mostrano in equilibrio o in avanzamento. Una importanza rilevante nei processi di dinamica costiera è da ascrivere ai sedimenti apportati a mare dalle foci del fiume Volturno e Garigliano. Il caso studio evidenzia la necessità di un intervento ampio: il cambio di scala del fenomeno inquinamento deve determinare un cambio di approccio alla bonifica, la necessità di utilizzare un paradigma concettuale diverso, che apre ad alcune riflessioni. Da un punto di vista spaziale, la diffusione dei siti inquinati e delle aree di influenza delinea un sistema territoriale delle aree inquinate che necessita di strumenti, figure e razionalità utili alla definizione di un progetto di suolo. Da un punto di vista tecnico-economico, la messa in pratica della bonifica di scala vasta non può essere immaginata, per evidenti limiti di risorse, come una somma di interventi puntuali ed esaustivi. Infine il caso studio dimostrano la natura sociale delle pratiche di inquinamento: un progetto di territorio e di bonifica diffusa dipenderà quindi dalla comprensione delle relazioni tra ecosistemi e pratiche sociali. Una riflessione che suggerisce di indagare i nessi (Shannon 2011) tra attività antropiche e territorio, tra società e “natura”, il modo in cui hanno dispiegato nel tempo i loro effetti costruendo i sistemi sociali e spaziali che oggi osserviamo.