Duecento anni fa moriva il maggiore interprete del Neoclassicismo, colui che scolpiva nel marmo il sentimento e la perfezione. Antonio Canova manifestò sin da piccolo doti artistiche straordinarie in un ideale di bellezza che si rifaceva all’antico. I neoclassici si ispiravano all’arte dell’antica Grecia, allora ritenuta come la perfezione di proporzione, equilibrio ed armonia. Canova ebbe a modello questi elementi, aggiungendo alle perfette forme delle sue sculture anche sensualità e vitalità. Papa Pio VI lo collocò “nel più sublime grado di tutti gli artisti”, nominandolo nel 1802 ispettore generale delle antichità e belle arti. A Venezia, nella bottega dello scultore Giuseppe Bernardi studiò opere antiche di proprietà dell’abate F. Farsetti, e da qui il nascere del gusto per l’armonia e l’equilibrio, elementi caratterizzanti la sua produzione scultorea. Giunse, successivamente, a Roma nel 1779, ove raggiunse una grande popolarità. Le sue opere, per la morbidezza delle carni, suscitavano nel pubblico grande stupore e ammirazione; le pose eleganti e la levigatezza del marmo che risultava molto luminoso donavano alle sue sculture una senso di vitalità sorprendente. Nel 1787 fu esposto il ‘Monumento funerario a Clemente XIV’, realizzato per la basilica dei Santi XII Apostoli. Ad ammirarlo, tra gli altri, anche i gesuiti, nonostante i contrasti con quel papa che aveva soppresso il loro ordine. Questa opera consacrò Canova, che iniziò a ricevere commissioni anche dalla nobiltà europea, russa, asburgica e polacca. Tra gli ammiratori di Canova si annoverava anche Napoleone Bonaparte, che nel 1802 lo convocò a Parigi per farsi immortalare in un busto ritratto, e su intervento persuasivo di Papa Pio VII si convinse ad andare. Era molto religioso e contrario al matrimonio perché toglieva tempo all’arte, e un giorno affermò che qualora si fosse sposato avrebbe preso in moglie una signora anziana perché non l’avrebbe distratto troppo dal suo lavoro. Canova era molto appassionato della storia di Amore e Psiche che il latino Apuleio racconta nell’opera ‘Le metamorfosi’. Una giovane, Psiche, s’innamora del dio Amore (o Eros), ma cade in un sonno profondo dopo aver aperto un vaso ricevuto da Proserpina, la regina degli inferi, ed è risvegliata dal suo amato. Nell’opera Canova coglie il momento in cui il dio ridesta Psiche con la punta di una sua freccia e abbraccia la donna semidistesa, che lo avvolge con le sue braccia. La versione che Canova realizzò per il colonnello Campbell si trova al Louvre di Parigi mentre quella scolpita per il principe Jusupov è custodita all’Hermitage di San Pietroburgo.
“Ciò che mi rende più impaziente è vedere l’effetto che l’opera produrrà sulle anime del pubblico”, soleva ripetere, e – ancora oggi – ben conosciamo quale valore abbia rappresentato quel magnifico effetto e il suo perdurare nell’eternità.


Domenico Setola (dottore in Giurisprudenza e studioso di storia medievale e moderna)