di Rosa Linda Ricci – psicologa

 

Io non voglio dimenticare è il titolo dello spettacolo che racconta la storia di Giancarlo Siani, giornalista assassinato dalla camorra nel 1985, regia di Claudio Iodice. Quarantadue repliche di cui gran parte al teatro Italia di Acerra (Na) tutte per studenti di scuola primaria e secondaria superiore di primo e secondo grado. Occasione per rilanciare il concorso Ambiente e Legalità e per aprire un dibattito con gli studenti moderato da Salvatore Iavarone alla presenza di ospiti diversi tra cui giornalisti, scrittori, psicologi e psicoterapeuti. Ciò che ha sorpreso più di tutto è la curiosità e l’interesse degli allievi indipendentemente dalla loro età, manifestata attraverso delle domande tanto schiette quanto lapidarie: “Come mai è nata la camorra? Perché continua ad esistere? Perché i suoi amici non lo hanno aiutato?”.

Proprio così, come mai?

 

Domande all’apparenza semplici hanno favorito il confronto su temi ben complessi, espressi oltretutto anche a conclusione del ricco e dilettevole spettacolo, proprio dallo stesso protagonista. Da questi interrogativi è stato utile partire per osservare tutta una serie di atteggiamenti e comportamenti espressi quotidianamente verso l’Altro, verso il mio gruppo, verso la mia città.

Divenire consapevoli che la parola Illegalità è anche comprare le sigarette dal contrabbandiere all’angolo della strada, il CD/DVD masterizzato, guardare film in streaming o comprare capi d’abbigliamento, accessori e scarpe “paralleli”. Cominciare ad osservare che lo smaltimento dei rifiuti –inchiesta cui lavorava già Siani negli anni ’80- parte dal non lanciare i fazzoletti dal finestrino dell’auto in corsa o dal non attaccare chewing-gum sotto il banco in classe. Divenire consapevoli che le parole Omertà e Verità si riferiscono a noi, quando siamo spettatori muti, attoniti e spaventati dei soprusi che subisce una persona che conosciamo, che è nel nostro gruppo.

 

In psicologia sappiamo che usare parole che indicano concetti astratti, macroscopici, molto spesso ci deresponsabilizza, allontana il problema; piuttosto è pensare al piccolo sistema mondo che è intorno a noi che aiuta a sentirsi artefice e responsabile di ciò che accade, o che non accade. Perciò quello che ho lasciato agli studenti che ho incontrato è semplicemente di fare del loro meglio nel proprio microsistema mondo. Fare del proprio meglio spesso, tante volte, ogni volta che è loro possibile. Poiché a volte, i piccoli comportamenti di Uno sono in grado di produrre un cambiamento nell’intero Sistema.