La nascita della fabbrica e poi dell’industria dai primi dell’Ottocento ha determinato la divisione del lavoro e la continua specializzazione. Ciò ha costantemente sottratto al lavoratore la sua anima, la sua scelta di determinarsi sul posto di lavoro e costruito la sua alienazione, determinando lo schiacciante dominio della classe borghese sugli strati della massa lavoratrice. Questo lo teorizzava Marx intorno al 1800, così è stato e così, purtroppo, è ancòra. Un lavoro di filiera o di montaggio di una catena prima svolto da 10 lavoratori, oggi, è completamente espletato dalle macchine guidate al massimo da 2 persone. Con l’avanzare dell’intelligenza artificiale la sostituzione della macchina all’uomo assumerà proporzioni difficilmente immaginabili perché enormi e creerà livelli di disoccupazione che ridurranno alla fame o alla sopravvivenza la maggior parte dei ceti deboli e larga parte del ceto medio. Innovazione e tecnologia senza l’invenzione di nuovi lavori determinerà un netto cambiamento paradigmatico dove l’uomo sarà relegato a mere operazioni tecniche, destrutturando la cultura stessa del lavoro come conosciuta prima con i suoi assiomi del sacrificio, dell’impegno manuale ed intellettuale in cui l’essere umano poteva esprimere la sua anima, il suo modo di essere, la sua personalità. Condizioni vive nel piccolo e prezioso artigianato italiano d’eccellenza, luce e speranza di un modo di concepire il lavoro che difficilmente si spegnerà. I governi dovrebbero sovvenzionare ed agevolare tali peculiarità imprenditoriali piccole e medie affinché l’ondata ipertecnologica inarrestabile non soffochi l’individuo e le sue caratteristiche, manuali, di ingegno, culturali. Nella speranza che ciò avverrà, la lotta sarà sempre più tra l’artificiale e l’umano, se reggerà la consapevolezza che il secondo è insostituibile e raro, fonte di vita e fecondità di una società civile di persone.

Domenico Setola