A P. Celan, nel 1960, viene conferito il premio Büchner.
In quella occasione tiene un discorso in cui – tra altre tematiche – prova a dire il significato della poesia: “poesia non è alcun luogo concreto sulla carta geografica dell’immaginario e della mente dell’uomo. Essa è piuttosto un meridiano, una linea ad un tempo verissima ed inesistente che indica una direzione attraverso molti territori. Su questa linea a ciascuno è data la possibilità di tracciare il proprio cammino verso quel sapere e quel sentire che appaiono sempre più lontani da chi è assediato dalla civiltà del rumore e del fatuo, e in essa si perde”. Si coglie immediatamente il valore del silenzio e dell’ascolto che vive e si rigenera in una condizione di quiete, di rallentamento rispetto ai ritmi contemporanei, di ripristino di una lentezza rispetto alla velocità che ci assedia. La poesia non si sa con certezza da dove provenga ma la si può cogliere in parte – data la sua inafferrabilità – nella pace e nella calma, oltre il frastuono metropolitano; forse si tratta di un certo tipo di ascolto, tra i tanti che esistono. Forse: questa parola amata da Leopardi perché, lui diceva, apre delle possibilità, non certezze. Perché non cerca la fine ma va verso l’infinito.
Questa parola ricorre ben 9 volte in una pagina del “meridiano e altre prose” di P. Celan. In questo libro lo sviluppo del discorso si da attraverso un alternarsi di intuizioni e dubbi, luci e oscurità, affermazioni revocate e riproposte, in una interrogazione pressante e reale, sui misteri dell’arte e della poesia. Si dice che il discorso intorno all’arte “potrebbe continuare all’infinito” se nulla accadesse ma accade ( chiaro riferimento alla data del 20 gennaio 1942, data in cui fi decisa la “soluzione finale”). Oltre questo riferimento ultimo, Celan parla di una tendenza della poesia alla sua oscurità, citando Pascal:”non prendetevela con noi per la mancanza di chiarezza perché noi ne facciamo una professione”, e il poeta rumeno prosegue dicendo: “questa è – credo – la seppur congenita oscurità che è propria della poesia, in vista di un incontro che muove da una distanza che essa stessa, forse, ha inteso progettare”.
C’è un’idea in cui immaginazione ed esperienza si possono orientare alimentate da una oscurità costitutiva quando la poesia viene al mondo come evento di individuazione, come una traccia di linguaggio. Come quest’ultimo può “farsi mondo”, muovendosi attraverso l’ombra e agendo in essa. Un linguaggio – dunque- consapevole dei limiti che la lingua gli impone e delle possibilità che essa stessa gli dischiude, non dimenticando che il poeta parla sempre sotto l’angolo d’incidenza della sua propria esperienza, della sua condizione creaturale.

Domenico Setola