Il Parlamento italiano cercò di trovare un rimedio alla frenetica attività edilizia “spontanea” che seguì il disastroso sisma del 1980. Difatti venne promulgata ad hoc la Legge n. 47 del 1985 proprio per consentire ai cittadini, “una tantum” (una sola volta e per sempre), di sanare gli abusi edilizi. Il legislatore con questa norma, sperava di mettere ordine al patrimonio edilizio privato, gravato da abusi, degli italiani.

I comuni chiamati a rilasciare le sanatorie edilizie furono sepolti da migliaia e migliaia di richieste di condono edilizio, che si sono trascinate addirittura sino ai giorni nostri. L’impossibilità strutturale di chiudere le istanze di condono edilizio presentate nel periodo 1985-86 da parte dei comuni, soprattutto nelle popolose cittadine di numerose provincie del sud dell’Italia creò gravissimi dissesti urbanistici e disinnescò il potere di pianificazione urbanistica in capo alle amministrazioni comunali.

Ad aggravare la confusione urbanistica delle singole comunità intervennero due successive norme nazionali, la Legge 724/94 e la Legge 326/2003, che, sebbene articolate con maggiori limiti e paletti, in ragione di un millantato sviluppo economico del paese aprirono le porte ad altri due condoni edilizi che hanno eliminato ogni potenziale idea pianificatoria, consentendo la nascita e la crescita spontanea di ampi nuclei urbanizzati, e favorendo penosi fenomeni di “stratificazione delle sanatorie” e ponendo le amministrazioni locali e gli uffici tecnici nella condizione di “subire” il territorio e non di “dominarlo”.

Con il Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 si cercò di accorpare tutte le norme edilizie in un unico testo e fu anche più chiaro quale fosse il percorso amministrativo repressivo degli abusi edilizi. Lo Stato centrale offriva nuovi e più potenti strumenti di contrasto al fenomeno dell’edilizia spontanea.

Non tutte le amministrazioni locali attivarono gli strumenti repressivi messi a disposizione dalla norma ma alcune amministrazioni comunali, come ad esempio Afragola, ebbero l’intuito di avviare i procedimenti e la buona sorte di avere a disposizione dirigenti e funzionari illuminati.

Fu così che a partire dall’anno 2002, riprendendo anche le disorganizzate attività amministrative degli anni precedenti si avviarono le procedure di contrasto dell’edilizia privata spontanea che ebbero un maggiore e importante impulso a partire dall’anno 2005 quando fu riorganizzato il servizio comunale di antiabusivismo edilizio.

Durante questi anni il patrimonio del Comune di Afragola si è arricchito di centinaia e centinaia di corpi di fabbrica, residenziale e non residenziali, derivanti dalle acquisizioni per abusivismo edilizio emesse dagli uffici competenti.

La crescita smisurata del patrimonio comunale con questo immenso flusso di immobili abusivi e le attività repressive della Procura della Repubblica di Napoli, finalizzate alla demolizione degli immobili crearono problematiche a più riprese riflettute dagli amministratori locali.

Il procedimento amministrativo repressivo ed il procedimento penale a carico dei responsabili dell’abuso, pur camminando su alvei paralleli conduce alla medesimo risultato: la demolizione dell’immobile abusivo, tranne che, come recita il comma 5 dell’art. 31 del D.P.R. 380/01, con deliberazione consiliare non si dichiari l’esistenza di prevalenti interessi pubblici e sempre che l’opera non contrasti con rilevanti interessi urbanistici o ambientali.

Ed è proprio in questo passaggio di legge che nasce il germe dell’housing sociale.

Il germe dell’housing sociale si concretizza nella normativa della Regione Campania con l’emissione del comma 65 dell’art. 1 della Legge n. 5 del 2013 e con alcune precise sentenze della Corte dei Conti, laddove, sostanzialmente si stabilisce che è necessario cercare di gestire il patrimonio immobiliare derivante da abusivismo edilizio, per tutta una serie di motivazioni: 1) annullare gli improbabili costi per le demolizioni dei manufatti; 2) dare una risposta alla crescente richiesta di immobili popolari; 3) mettere a frutto con somme in entrata, da parte dei comuni, attraverso la gestione degli immobili abusivi.

Se da un lato era impensabile ipotizzare la demolizione di migliaia e migliaia di manufatti, se non altro per gli spropositati costi, è ancor più impensabile immaginare che tutti gli immobili possano essere destinati ad un uso residenziale.

Il Comune di Afragola ha approvato un idoneo Regolamento per provvedere alla gestione del patrimonio immobiliare e per consentire agli enti di destinare gli immobili da demolire ad un uso residenziale, denominato “housing sociale”, facsimile delle procedure cosiddette E.R.P. (Edilizia Residenziale Pubblica).

Il regolamento comunale che disciplina l’housing sociale, come tutte le norme, reca vantaggi e limiti. È significativo che ricevono un vantaggio enorme i cosiddetti “occupanti abusivi”, ovvero i nuclei familiari che già occupano gli immobili, a patto però che rispondano ad una serie di requisiti di tipo economico. Tale aspetto del regolamento è alquanto controverso in quanto si consente all’occupante abusivo di continuare a godere del bene immobile, sebbene gli sia stato definitivamente sottratto, senza però considerare che nella stragrande maggioranza dei casi, gli occupanti abusivi sono proprio coloro che hanno realizzato il manufatto abusivo e dunque hanno commesso il reato edilizio. Un principio regolamentare davvero iniquo. Sarebbe come consentire al rapinatore di godere dei proventi derivanti dal frutto del suo reato. Altro aspetto poco convincente del regolamento edilizio riguarda i requisiti morali degli occupanti abusivi. Vengono completamente trascurati, anzi ignorati. In un territorio complicato come quello di Afragola è immaginabile consentire a persone giudicate colpevoli di reati gravi e/o associativi di godere di vantaggi così rilevanti?

Sarebbe certamente più convincente una deliberazione comunale che destini un immobile ad un uso e ad una fruizione collettiva, affinchè tutti i cittadini possano godere del bene, ad esempio destinare immobili ad asili, scuole, alloggi per forze dell’ordine, uffici pubblici, depositi di attrezzature pubbliche, ecc.. ecc.. piuttosto che ad un uso quasi privatistico, lasciando il bene nelle mani di coloro che hanno usurpato l’autorità pianificatoria del Comune di Afragola, ma tant’è. Tali considerazioni non prevalgono, ma anzi soccombono dinanzi alle cause di forza maggiore rappresentate dall’enorme numero di concittadini abusivisti e dal loro grosso peso elettorale.

In ogni caso anche i manufatti per essere destinati all’housing sociale devono possedere una serie di requisiti tecnici e di staticità tali da garantire l’incolumità per le cose e le persone, ragion per cui devono essere corredati di idonea documentazione tecnica ed amministrativa.

Quale ultima riflessione, non possiamo sottacere che le procedure di housing sociale messe in campo dalle amministrazioni pubbliche sono in contrasto con le attività della Procura di Napoli che mirano essenzialmente a che la sanzione accessoria del reato edilizio venga eseguita, ovvero la demolizione del corpo di fabbrica.