Il critico letterario, oggi.
(Prerequisiti e precondizioni)

Vedo, oggi, il critico che definirei letterario, come una persona lontana da ogni meccanismo mediatico che influenza e condiziona, innanzitutto.

Operare una valutazione in un contesto culturale dove vige il sistema massmediatico imporrebbe quale prima condizione di imparzialità, l’estraneità quanto meno parziale a tale contesto quale condizione e presupposto di giudizio oggettivo. Giudizio credibile che perviene dalla lontananza, dalla preparazione vasta che dovrebbe contenere svariati elementi, tra cui la conoscenza profonda di ciò che si va a valutare.

Non riesco ad immaginarmi un giudizio oggettivo, efficace e dunque valido, di un trecentista su testi di poesia contemporanea. Come, allo stesso modo, non mi suggerirebbe equilibrio di giudizio un esercizio critico di un contemporaneista su un testo del 400, qualora volesse metterne in luce pregi e difetti. In tutti e due i casi, sentirei valida una valutazione da parte di una persona che abbia la perfetta e completa cognizione e competenza dei due ambiti, così vasti, diversi, per contesto storico, per diversità linguistica, culturale, sociale di ciascuno dei due.

La poesia contemporanea è variegata, multiforme di per sé, conoscere i vari filoni, correnti, studi e saggi sull’orientamento preciso e peculiare a cui lo scrittore si riferisce o si ispira o dice di ispirarsi, rafforzerebbe ancor più una lettura che voglia entrare nel “corpo” di quelle parole, di quei testi.

Queste precondizioni non rappresentano altro che una piattaforma culturale personale da cui non si dovrebbe prescindere.

Viene da sé, almeno per me, che il critico non dovrebbe essere legato ad alcun interesse personale che anche indirettamente possa incidere sul testo. E per interesse personale intendo, tornaconto personale, sotto la forma del potere, del denaro, della visibilità. Un uomo discreto, dunque, che si mette da parte, innamorato di ciò che fa avendo consapevolezza di ciò che decide e scrive. Se in queste poche righe, ho provato a descrivere i criteri minimi di un buon critico letterario dell’epoca digitale, lascerei al lettore di questo articolo la valutazione e ricognizione di persone che potrebbero, saprebbero formulare un giudizio critico sereno, oggettivamente convincente, tendenzialmente imparziale, essendo anche il critico calato irreversibilmente e irrimediabilmente nella realtà che vive. Sforzo e sacrificio, dunque, dovrebbero essere le sue linee direttrici di pensiero.
Come diceva il vecchio adagio: “a buon intenditor poche parole”.

Domenico Setola (dottore in giurisprudenza e studioso di storia medievale e moderna)