A un mese di distanza dalla tragedia consumatasi nella notte tra il 25 e il 26 febbraio scorsi a sulla costa di Steccato di Cutro, è lecito aprire una riflessione sui diritti dei migranti che sono attualmente sotto la tutela a livello internazionale, europeo e nazionale.

Ciò che colpisce, infatti, è che nonostante le Convenzioni, gli accordi internazionali e sovranazionali, le Carte dei diritti e perfino i valori della nostra Costituzione, ancora una volta le nostre autorità non siano riuscite ad evitare una strage già annunciata nel Mediterraneo; anzi, non hanno fatto altro che scaricarsi le colpe a vicenda, per cui alla fine la colpa di tutti si è risolta nella colpa di nessuno.

Innanzitutto, la protezione del perseguitato e l’accoglienza dello straniero fanno parte da sempre della tradizione della civiltà europea: ne abbiamo testimonianza fin dai poemi omerici e dalle tragedie greche.

Eppure, proprio la tragica esperienza degli apolidi nel secondo dopoguerra è la situazione limite che costringe a ripensare la teoria dei diritti umani. Infatti, Hannah Arendt intuì che quei diritti presentati nel Settecento come “inalienabili e indipendenti dai governi”, in realtà non sono stati affatto garantiti agli apolidi da nessuna autorità statuale. In pratica, di fronte a individui che avevano perduto qualsiasi legame con un ordinamento sovrano, i diritti umani sono diventati inapplicabili: anzi, si dava per scontato che i diritti fondamentali appartenessero effettivamente all’essere umano solo se quest’ultimo fosse inserito in una comunità politica disposta a garantirli.

Quindi, solo a partire dalla seconda metà del secolo scorso si è cercato, con la creazione dell’ONU, la cui Assemblea ha approvato la Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948, di garantire i diritti di tutti gli esseri umani senza distinzione, inclusi gli apolidi.

Proprio la Dichiarazione universale del 1948 dichiara:

art. 13 comma 2: «Ogni individuo ha diritto di lascare qualsiasi Paese, incluso il proprio, e di ritornare nel proprio Paese»

art. 14, comma 1: «Ogni individuo ha diritto di cercare e di godere in altri Paesi asilo dalle persecuzioni».

In sostanza, in questi due articoli si afferma il diritto di emigrare ma non anche quello di immigrare, e si afferma il diritto di cercare asilo ma non ancora quello di ottenerlo.

Al problema del diritto all’asilo saranno date diverse soluzioni: sia livello internazionale, a partire dalla Convenzione di Ginevra sullo statuto dei rifugiati del 1951, sia a livello europeo, sia nell’ambito dei diversi Paesi. A livello internazionale, quindi, non esiste una normativa generale sull’immigrazione, ma solo fonti che riguardano il divieto di discriminazione e, più in generale, la protezione dei diritti umani.

Vi sono poi: una Convenzione Onu sui diritti dei lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie, del 1990, entrata in vigore nel 2003, non ratificata dall’Italia né dalla maggior parte dei Paesi occidentali, e due Convenzioni dell’OIL (Organizzazione internazionale del lavoro) la n. 97 del 1949 con le successive Disposizioni integrative e la n. 143 del 1975, ratificate dall’Italia nel 1981. Vi sono inoltre due protocolli aggiunti alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale, l’uno «sulla prevenzione, soppressione e persecuzione del traffico di esseri umani, in particolar modo donne e bambini» entrato in vigore il 25 dicembre 2003, l’altro «contro il traffico di migranti via terra, via mare e via aria», entrato in vigore il 28 gennaio 2004, entrambi ratificati dall’Italia nel 2006.

Inoltre, negli anni recenti hanno assunto molta importanza, in relazione al gran numero di richiedenti asilo e di migranti provenienti dal Medio Oriente e dall’Africa che cercano di attraversare il Mediterraneo, le «leggi del mare», contenute non solo nel nostro Codice della navigazione, ma anche nelle convenzioni internazionali, che impongono l’obbligo di garantire nel modo più sollecito il soccorso e lo sbarco in un luogo sicuro di chi si trovi in mare in situazione di pericolo.

Nell’ambito dell’Unione europea i Trattati vigenti prevedono che venga garantita:

  • «l’assenza di qualsiasi controllo sulle persone, a prescindere dalla nazionalità, all’atto dell’attraversamento delle frontiere interne» e, insieme, «il controllo delle persone e la sorveglianza efficace dell’attraversamento delle frontiere esterne» (art. 77 TFUE);
  • venga adottata una politica comune dell’immigrazione per assicurare la gestione efficace dei flussi migratori, l’equo trattamento dei cittadini dei Paesi terzi, la prevenzione e il contrasto dell’immigrazione illegale e della tratta degli esseri umani (art. 79 TFUE);
  • venga sviluppata una politica comune in materia di asilo, di protezione sussidiaria e di protezione temporanea (art. 78 TFUE);
  • tutte queste politiche siano governate dal principio di solidarietà e di equa ripartizione della responsabilità tra gli Stati membri (art. 80 TFUE).

La Costituzione della Repubblica Italiana, entrata in vigore nel 1948, riconosce alcuni dei diritti propri dei cittadini italiani anche gli stranieri, tra cui:

  • Diritti fondamentali (art. 2)
  • Principio di uguaglianza (art. 3)
  • Diritto al lavoro (art. 4)
  • Condizione giuridica dello straniero (art. 10, comma 2)

In particolare, l’art. 10, comma 3 della nostra Costituzione recita: «Lo straniero, al quale sia impedito nel suo Paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica secondo le condizioni stabilite dalla legge».

Si tratta, però, di una previsione rimasta a lungo totalmente inattuata fino alle parziali attuazioni della legge Martelli del 1990 (n. 39/90) e della Convenzione di Dublino dello stesso anno, ratificata nel 1992. Seguiranno le successive normative degli anni 2000, in gran parte conseguenti alle direttive europee, spesso però modificate in senso restrittivo o apertamente violate, dalle disposizioni degli ultimi governi.

In Italia la normativa in materia di immigrazione è abbastanza recente: fino agli anni ’80 il fenomeno è stato sottovalutato; in sostanza, si tratta di una legislazione caotica a causa dei differenti orientamenti dei Governi in carica, e caratterizzata dal profilo emergenziale e dell’ordine pubblico, con l’eccezione del Testo unico del 1998, la cd. legge Turco-Napolitano, che prevedeva un sistema di quote di ingresso e un rafforzamento dei diritti dello straniero anche quanto alla possibilità del ricongiungimento familiare. Aspetti questi ultimi radicalmente mutati dalla successiva legge 189 del 2002, cd. legge Bossi-Fini, in un’ottica esclusivamente securitaria, che inaspriva fra l’altro le procedure di allontanamento, poi dichiarate parzialmente illegittime dalla Corte costituzionale nel 2004 (sentenze 222 e 223). Il resto è cronaca dei nostri giorni. Basta ricordare il “Decreto sicurezza” del governo Conte I o il più recente decreto-legge approvato lo scorso 9 marzo dal governo Meloni – proprio a seguito degli avvenimenti di Cutro – che prevede pene più severe per i cosiddetti scafisti e introduce il nuovo reato di “morte o lesioni come conseguenza di delitti in materia di immigrazione clandestina”, oltre a velocizzare l’esecuzione dei decreti di espulsione e restringere la normativa dei permessi di soggiorno.

Fonti: Hannah Arendt, Le origini del totalitarismo

https://www.questionegiustizia.it/articolo/l-europa-dei-diritti-e-le-migrazioni-le-norme-e-la-realta_20-05-2019.php
https://integrazionemigranti.gov.it/it-it/Ricerca-norme/Dettaglio-norma/id/19/I-diritti-fondamentali-lItalia

Germanico Patrelli